Flattened in Time and Space è un romanzo visivo per famiglie, la cui trama si sviluppa attorno alla figura di Concetto, nato a Scicli, in Sicilia, nel 1921. Le fotografie, estratte dagli album di famiglia e rimontate, sono state scattate dal nipote, Angelo Vignali, dalla sua famiglia e dai suoi amici. La sequenza, che abbraccia oltre cinquant’anni, priva lo spettatore delle coordinate spazio-temporali e dell’identità di chi ha scattato le fotografie, creando una nuova narrazione. FITAS è un ritratto tratto dalle relazioni tra persone, luoghi ed eventi che hanno animato la scena della vita di Concetto. Un susseguirsi di sguardi dalla finestra si affaccia sulla campagna: le fattorie abbandonate e le stazioni di servizio, le colline polverose siciliane, il cielo e il Mar Mediterraneo. La magnificenza dei monumenti, che osserviamo solo un attimo dopo erosi dal tempo, abbandonata. Pochi personaggi dello sfondo punteggiano il paesaggio, fino a quell’interno domestico, sempre uguale, ma diverso nei minimi dettagli: la casa che lo stesso Concetto ha costruito e dove vive ancora oggi. C’è un ‘lessico familiare’ nel modo in cui guardiamo e rappresentiamo i luoghi e le persone che ci stanno a cuore: la nostra storia? Il percorso intrapreso da Vignali nella costruzione di questo progetto – che di fatto vede la sua prima e completa espressione nella forma del libro – trova un’importante chiave di lettura negli studi dello psicologo americano James Hillman (Healing Fiction, 1983), riguardo al ruolo della finzione nella psicoterapia. Raccontare la propria storia è un processo immaginativo, un’operazione digestiva, in cui l’individuo osserva e riorganizza lo svolgersi del tempo della sua vita – l’emanazione di ricordi, sogni e fantasie. Vignali riscrive così la trama, rivede il passato, fino a trovare una nuova coerenza interna: si riconosce per mezzo della trascrizione (garanzia dell’umanità della memoria e dell’eternità). In questo contesto, l’identità del protagonista, il suo volto, è solo l’epilogo del viaggio.