Nick Meyer è cresciuto in una piccola città industriale nel Massachusetts occidentale e sin dalla sua giovinezza il territorio della città è stato in continuo mutamento, con case e negozi continuamente eretti, rasi al suolo e ricostruiti nel baratro lasciato dalle industrie disintegrate. The Local documenta una città in bilico tra aspirazione e declino, un racconto profondamente personale che rivela le lotte, i tumulti e la quotidianità che si svolgono in un luogo che, dall’esterno, appare in stasi. L’esperienza qui rappresentata è di stranezza e familiarità: il ritmo del cambiamento potrebbe essere riconoscibile ma i parametri sono cambiati, con la dipendenza da oppiacei e le crisi economiche che si uniscono al ritmo costante della deindustrializzazione nel definire la profonda volatilità.
Con il tropo degli Stati Uniti ‘lasciati alle spalle’ ora un’invocazione familiare, il lavoro di Meyer offre una valutazione posizionata in modo univoco di questo non luogo figurativo, tracciando le sue connessioni con le persone particolari e la topografia di una singola città. In questo modo, la rappresentazione studiata di dure realtà socio-economiche fiorisce in qualcosa di più mitico ma non per questo meno penetrante.
La città natale di Meyer diventa uno spazio multistrato, poetico e spesso spettrale, che ricorda T.S. The Waste Land di Eliot e Paterson di William Carlos Williams. Mentre si muove tra passato e futuro, volto e paesaggio, dettaglio strutturale e vasto tableau, le mutevoli prospettive di Meyer richiedono una riconsiderazione di ciò che è ‘locale’: ciò che rende un luogo un luogo all’interno del paesaggio omogeneo del capitale postindustriale, e quale atteggiamento o grado di prossimità potrebbe rivelarlo.