Dopo la morte di mio padre nel 2011, ho scoperto una lettera, scritta al suo psicoterapeuta, sul suo periodo nella Guerra di Confine. Ha dedicato la sua vita a progetti sostenibili e all’educazione nei paesi africani e quello che ho letto nella lettera mi ha colto di sorpresa.
Non era l’uomo che conoscevo.
La lettera descriveva gli orribili incidenti a cui aveva preso parte, da ragazzo di 17 anni.
Un paragrafo della lettera, mi ha infastidito di più:
“… ha dichiarato che mi sono unito e ho fatto quello che ho fatto, perché volevo uccidere le persone. È più vero che vero».
Le domande hanno iniziato a tormentarmi. Come è stato allevato? Che influenza hanno avuto il regime dell’apartheid e le sue ideologie sulla famiglia? Quali circostanze potrebbero portare un ragazzo di 17 anni ad avere un tale intento omicida? Da dove nasce tutta questa violenza?
Attraverso questo viaggio, ho scoperto quanto la mia vita sia stata influenzata dal trauma di mio padre. Come i fratelli di mio padre sono ancora colpiti dalle ideologie del padre. Generazioni di traumi, tramandate per ignoranza, anche attraverso i nostri geni. Si dice che la mia generazione sia la prima di sudafricani a non vivere la guerra. Abbiamo l’opportunità e la responsabilità di osservare tutto questo dentro di noi. Per assicurarsi che non continui.
Dopo la guerra, mio ​​padre si rivolse contro tutto ciò che sapeva. Ha lasciato suo padre e la sua famiglia. Desiderava risolutezza. Voleva così tanto essere libero dalle sue ombre. Ma le conseguenze delle sue azioni lo perseguitarono per tutta la vita. Ha fatto del suo meglio per tenerlo nascosto ai suoi figli e alle sue mogli. Alla fine, è scivolato attraverso le fessure.
Microlight è una raccolta di aneddoti. E raccontando queste storie, spero di aprire questa discussione. Desidero la guarigione. Voglio capire, in modo da poter accettare, e andare avanti.