“Più a fondo scavavo, più la città condivideva i suoi segreti con me.”
Nella sua monografia d’esordio, Nick Gervin presenta uno sguardo surreale sull’altra faccia della cultura americana, tutto catturato sul palcoscenico della piccola città di Portland, nel Maine.
Nel dicembre 2008, Gervin ha subito un trauma cranico dopo essere stato aggredito, un evento che avrebbe cambiato radicalmente il corso della sua vita. A malapena in grado di permettersi l’affitto dopo essere stato recentemente licenziato dal lavoro a causa della recessione, è precipitato rapidamente nella povertà e nella dipendenza, una situazione aggravata dalla sua ferita, il secondo trauma cranico che aveva subito nella sua vita. Con diagnosi di sindrome post-commozione cerebrale, Gervin sviluppò una grave sensibilità alla luce e al suono e sperimentò emicranie debilitanti che lo facevano sentire come un “prigioniero nel proprio corpo”. Preferendo le notti buie e tranquille al caos del giorno, è stato durante questi periodi di solitudine e sonno interrotto che Gervin ha riscoperto la fotografia, vagando di notte per le strade con la sua macchina fotografica e trovando un rinnovato senso di scopo nel processo.
Quello che è seguito è stato un inseguimento decennale di fotografare i molti strati della sua città natale che lo ha visto catturare di tutto, dalle marce di protesta agli attacchi di wrestling alle risse notturne tra ubriachi e persino avventurarsi nelle reti sotterranee a lungo dimenticate di tunnel sottostanti. Come spiega Gervin, “Sono stato guidato dalle mie ansie, cercando di rimanere sobrio mentre cercavo di dare un senso a ciò che vedevo. Stavo registrando un luogo nel tempo; un ritratto di una città a cui sono profondamente legato. Col passare del tempo e mi sono sentito obbligato a continuare il lavoro, ho capito che non ero solo io, ma anche la città e sono i portlandesi che si trovavano a un bivio.